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Così come esiste la classifica delle persone più ricche al mondo, c’è anche una competizione per decretare il supercomputer più potente. Il Roadrunner della IBM è il primo della lista con 130 mila CPU PowerCELL e una potenza di 1.7 petaflops… poco in confronto ai 7 petaflops raggiunti da progetti come Folding@home e Rosetta@home.
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Dal momento che si parla di folding delle proteine partiamo dal descrivere brevemente cosa sia una proteina: è una lunga sequenza di aminoacidi che svolge le sue funzioni biologiche solamente quando ha assunto una particolare forma tridimensionale. Questa trasformazione spaziale è appunto definita folding (ripiegamento).

Il Professor Harold A. Scheraga della Cornell University (N.Y.) è il precursore delle simulazioni al calcolatore del folding. Spiega che ci sono malattie genetiche per le quali un particolare aminoacido, mutando, fa in modo che la proteina si ripieghi in modo innaturale e così facendo non riesce più a svolgere le sue funzioni biologiche. Un esempio tipico è quello della anemia: l’emoglobina malata si ripega in modo abnorme finendo col deformare il globulo rosso che non riesce più a trasportare ossigeno ai tessuti.
Un altro esempio è quello del morbo di Alzheimer solo che purtroppo in questo caso gli agglomerati informi di proteine si formano nel cervello umano.
 
 
Sheraga, che come spesso accade tra i ricercatori preferisce avere il controllo totale sulle sue ricerche, continua ad utilizzare il suo supercomputer ma simulare il ripiegamento proteico richiede una colossale quantità di tempo CPU.
 
 
Il problema della potenza di calcolo è stato risolto da Vijay Pande della Stanford University con il suo progetto Folding@home.
Si parla in questo caso di calcolo distribuito perché piuttosto che far girare il progetto su giganteschi supercomputer, le simulazioni vengono divise in piccoli pezzi (noti come Unità di lavoro, o WU) che vengono inviati via internet ai PC sui quali gira il software F@H.  
Quanto conta una singola Unità di lavoro per Folding@home? Le proteine non si ripiegano tutte alla stessa velocità; il processo avviene nell’ordine dei micro o dei millisecondi. Una singola Unità di lavoro riesce a simulare un tempo compreso tra il nano e il microsecondo anche se c’è da dire che le recenti GPU riescono a simulare addirittura l’intero processo di ripiegamento se le proteine sono sufficientemente piccole.
 
 
Folding@home non è l’unico progetto di calcolo distribuito che studia il ripiegamento proteico: un altro simile ed importante progetto è Rosetta@home dell’Università di Washington che ha un approccio differente ma applicazioni mediche altrettanto promettenti, ad esempio la ricerca di un vaccino contro l'HIV. David Baker, il capo ricercatore del progetto, spiega che il motivo per cui l’AIDS è così pericoloso, tra le altre cose, è che il virus muta molto rapidamente. Quando si viene infettati il nostro corpo cerca di combattere il virus producendo degli anticorpi: il virus però muta e gli anticorpi non lo riconoscono più così che questo può continuare indisturbato ad evitare il nostro sistema immunitario.
Il virus HIV ha però un tallone d’Achille: ci sono un paio di regioni che non mutano mai. Quando il virus attacca il corpo umano il sistema immunitario non produce anticorpi per queste regioni perché sono piuttosto protette. L’idea è quella di progettare delle proteine che simulino queste regioni e di inserirle nel corpo umano perché possa creare gli anticorpi appropriati ed essere pronto.
 

Quanto dovremo aspettare per delle vere cure ?
Sia Rosetta@home che Folding@home stanno facendo delle interessanti scoperte in campo medico ma per passare da questo a delle vere e proprie terapie il cammino è molto lungo.
Baker non si sbilancia, a Scheraga sembra ragionevole un tempo di 10 anni, Pande invece spiega che 10 anni è il periodo minimo necessario ma è molto più verosimile e sarebbe comunque un successo se servissero 20 anni.

Quello che Scheraga, Baker e Pande stanno cercando di fare è velocizzare il processo di ricerca e sono tutti ottimisti sul fatto che si stanno avvicinando al risultato.
 

 
Le proteine possono assumere diverse forme tridimensionali: un esempio classico di questa varietà è visibile durante la cottura di un uovo. Rompete un uovo in una padella e vedrete le proteine del bianco d’uovo nella loro forma naturale, scaldate la padella e le proteine inizieranno a trasformarsi miscelandosi e assumendo una consistenza sempre maggiore fino allo stato solido.
Come si può facilmente immaginare se le proteine subissero questa trasformazione all’interno del corpo umano le conseguenze sarebbero drammatiche, anche perché sono quasi sempre irreversibili.

Il Professor Harold A. Scheraga della Cornell University (N.Y.) è il precursore delle simulazioni al calcolatore del folding, è uno scienziato che studia il ripiegamento proteico da decenni. Egli spiega che ci sono malattie genetiche per le quali un particolare aminoacido, mutando, fa in modo che la proteina che lo contiene si ripieghi in modo diverso da quello naturale e così facendo non riesce più a svolgere le sue funzioni biologiche. Un esempio tipico è quello della anemia: l’emoglobina (ovvero la proteina a cui si lega l’ossigeno nei globuli rossi) malata si ripega in modo abnorme finendo col deformare il globulo rosso che non riesce più a trasportare ossigeno ai tessuti.
Un altro esempio è quello del morbo di Alzheimer solo che purtroppo in questo caso gli agglomerati informi di proteine si formano nel cervello umano.
 
 
Perché utilizzare il calcolo distribuito ?
Lo studio del come e del perché le proteine si ripiegano in modo errato (misfolding) è da decenni una delle maggiori sfide per i ricercatori in campo medico. Scheraga fu uno dei primi ad utilizzare dei modelli matematici per simulare il processo fisico del ripiegamento ma le risorse dell’epoca gli permettevano di studiare catene di 5-10 aminoacidi. Ora Sheraga ha il suo supercomputer con 800 CPU e studia catene di 1000 aminoacidi ma a volte è costretto a chiedere aiuto ai centri di calcolo nazionali americani o addirittura tedeschi.
Sheraga, che come spesso accade tra i ricercatori preferisce avere il controllo totale sulle sue ricerche, continua ad utilizzare il suo supercomputer ma simulare il ripiegamento proteico richiede una colossale quantità di tempo CPU.
 

 
Il problema delle enormi capacità di calcolo necessarie è stato risolto da Vijay Pande della Stanford University con il suo progetto Folding@home.
Si parla in questo caso di calcolo distribuito perché piuttosto che far girare il progetto su giganteschi supercomputer, le simulazioni vengono divise in piccoli pezzi (noti come Unità di lavoro, o WU) che vengono inviati via internet ai PC sui quali gira il software F@H. Su questi PC il lavoro viene svolto a seconda dei casi dalla CPU o dalla GPU e poi rimandato al server centrale.
I risultati vengono verificati e se corretti vengono accreditati un certo numero di punti che servono a dare un’idea del lavoro svolto per il progetto. Contemporaneamente al PC ospite vengono inviate nuove unità di lavoro e così via.
Contrariamente a quanto farebbe una società farmaceutica privata, una volta che siano state ricevute abbastanza WU per completare il lavoro, Stanford pubblica i suoi risultati sul suo sito web e sulle riviste mediche.
 
Quanto conta una singola Unità di lavoro per Folding@home? In generale si potrebbe dire che una WU simula un milionesimo del processo di ripiegamento proteico. Le proteine non si ripiegano tutte alla stessa velocità; il processo avviene nell’ordine dei micro o dei millisecondi.

Una singola Unità di lavoro riesce a simulare un tempo compreso tra il nano e il microsecondo anche se c’è da dire che le recenti GPU riescono a simulare addirittura l’intero processo di ripiegamento se le proteine sono sufficientemente piccole.
 

 
Folding@home non è l’unico progetto di calcolo distribuito che studia il ripiegamento proteico: un altro simile ed importante progetto è Rosetta@home dell’Università di Washington che ha un approccio differente ma applicazioni mediche altrettanto promettenti. Mentre F@H cerca di simulare il processo fisico del ripiegamento a livello atomico, Rosetta@home si propone di predire la struttura naturale delle proteine cercando la conformazione tridimensionale a più basso livello di energia. Lo scopo è quello di progettare nuove proteine.

Cosa ha a che fare l’energia con il ripiegamento proteico ? Il Professor Scheraga spiega che nel mondo che ci circonda ogni cosa cerca di raggiungere il suo stato a più bassa energia. Se si tiene in mano una palla e poi si aprono le dita, la palla andrà sempre verso terra, mai verso l’alto: la palla è attratta dalla forza di gravità che gli conferisce una sorta di energia, una potenzialità a muoversi verso il centro della Terra. Più andrà verso il basso e più la sua energia diminuirà.

David Baker, il capo ricercatore del progetto, spiega che l’idea di Rosetta@home è che la struttura finale che assume la proteina è quella con la più bassa energia (chimica, potenziale, di legame) che una determinata catena di aminoacidi può raggiungere.

Come Folding@home anche Rosetta@home sta attivamente cercando delle soluzioni per svariate malattie come ad esempio la malaria o il morbo di Alzheimer ma uno dei progetti più interessanti è certamente la ricerca di un vaccino per l’HIV.
Baker spiega che il motivo per cui l’AIDS è così pericoloso, tra le altre cose, è che il virus muta molto rapidamente. Quando si viene infettati il nostro corpo cerca di combattere il virus producendo degli anticorpi: il virus però muta e gli anticorpi non lo riconoscono più così che questo può continuare indisturbato ad evitare il nostro sistema immunitario.
Il virus ha però un tallone d’Achille: ci sono un paio di regioni che non mutano mai. Quando il virus attacca il corpo umano il sistema immunitario non produce anticorpi per queste regioni perché sono piuttosto protette. L’idea è quella di progettare delle proteine che simulino queste regioni e di inserirle nel corpo umano perché possa creare gli anticorpi appropriati ed essere pronto.
 


Quanto dovremo aspettare per delle vere cure ?

Sia Rosetta@home che Folding@home stanno facendo delle interessanti scoperte in campo medico ma per passare da questo a delle vere e proprie terapie il cammino è molto lungo.
Per il vaccino contro l’HIV Baker spiega che il passo successivo dovrebbe essere quello di scoprire se veramente il nostro sistema immunitario crea degli anticorpi una volta che siano state immesse in circolo le nuove proteine: non è detto infatti che lo faccia o che addirittura la cosa non sia dannosa.
Anche quando questo vaccino venisse effettivamente creato, ci sarebbe bisogno di test clinici approfonditi e prolungati. Per questo Baker non si sbilancia sui tempi.
 
 
Scheraga invece, riguardo alla cura per il morbo della mucca pazza o per il morbo di Alzheimer, lega il tempo per una cura alla quantità di soldi e risorse che verranno investiti nella ricerca. Comunque un periodo di 10 anni gli sembra ragionevole.
 
 
Pande nota come se anche la scoperta fosse fatta ora ci vorrebbero 5 anni di sviluppo in vitro per ottenere le certificazioni necessarie alla sperimentazione umana e altri 5 anni perché si commercializzi un vero e proprio farmaco. In sostanza 10 anni è il periodo minimo necessario ma è molto più verosimile e sarebbe comunque un successo se servissero 20 anni.
 
 
 
Quello che Scheraga, Baker e Pande stanno cercando di fare è velocizzare il processo di ricerca e sono tutti ottimisti sul fatto che si stanno avvicinando al risultato.


 
 
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