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finanziamenti_ricerca.jpgCome molti di voi sapranno, esistono, in Economia, quelli che vengono definiti "fallimenti del mercato" (vedi Wikipedia), ossia situazioni in cui il mercato non è in grado di allocare le risorse per un certo scopo poichè i costi supererebbero i benefici. Uno degli ambiti in cui il mercato fallisce è proprio la produzione di Conoscenza.
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Partiamo da una serie di concetti di base, usando le definizioni dello Zanichelli:

  • Dato: elemento o serie di elementi accertati e verificati che possono formare oggetto di indagini, ricerche, elaborazioni o che comunque consentono di giungere a determinate conclusioni
  • Informare: modellare secondo una forma
  • Informazione: atto, effetto dell’informare o dell’informarsi
  • Conoscere:  prendere possesso intellettualmente o psicologicamente, specialmente con un’attività sistematica, di qualunque aspetto di quella che è considerata realtà
  • Conoscenza: facoltà, atto, modo, effetto del conoscere


L'unità elementare è quindi il dato, inteso come semplice "rilevazione", dal quale deriva l'informazione, ossia il significato oggettivo dei dati. Da questa infine, attraverso l'interiorizzazione (e quindi rendendola "soggettiva"), si arriva alla conoscenza, ossia la capacità di utilizzare l'informazione.

 DATO → INFORMAZIONE → CONOSCENZA

La Scienza, ossia "la ricerca di nuova conoscenza legata alla formulazione di nuove teorie scientifiche", è l'attività formale di produzione della conoscenza ed è, in un contesto economico, l'elemento basilare della Ricerca e Sviluppo (R&S o R&D), della quale fa parte sotto il nome di "Ricerca di base" e la quale costituisce insieme alla "Ricerca applicata" (applicazione della conoscenza ad applicazione pratiche per la soluzione specifiche necessità) e allo "Sviluppo" (progettazione, ingegnerizzazione, prototipazione di nuovi prodotti o servizi o di modifiche a quelli esistenti).

La Ricerca di base - nonostante sia necessaria proprio perchè spesso crea le fondamenta su cui basare i successivi avanzamenti nella Ricerca Applicata e nello Sviluppo,  portando quindi ad una maggiore produttività e crescita economica - è la più soggetta a quello che prima abbiamo definito come "fallimento del mercato". Essa infatti non produce risultati che possano essere utilizzati direttamente per conseguire profitti economici e quindi non può basarsi sul sistema di mercato per finanziarsi. Per questo motivo, è necessario l'intervento di attori terzi - tipicamente lo Stato (ma non solo) - che ne sostenga le attività. 

La conoscenza infatti è, di per sè stessa, caratterizzata da bassa appropriabilità e alta trasferibilità. Per "bassa appropriabilità" si intende che difficilmente essa può essere diventare di proprietà esclusiva di un soggetto specifico; infatti, in base all'art. 45 del Codice della Proprietà Industriale, comma 2 - che riprende l'art. 52 della Convenzione Europea sui Brevetti - "Non sono considerate come invenzioni ai sensi del comma 1 in particolare: le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; [...]". Per "alta trasferibilità" si intende invece la capacità di essere codificata (insita nel metodo scientifico che l'ha prodotta) e quindi facilmente diffusa a basso costo, soprattutto in rapporto ai costi di produzione. In questo senso è quindi assimilabile ad un bene pubblico, dotato quindi delle caratteristiche di non escludibilità - intesa come difficoltà di impedirne l'utilizzo da parte di soggetti specifici - e non rivalità - l'uso da parte di una persona non ne impedisce l'uso da parte di un'altra, anche contemporaneo -.

A loro volta, anche la Ricerca applicata e lo Sviluppo sono basate sulla conoscenza. Tuttavia, poichè esse sono direttamente in grado di produrre profitto, vengono svolte direttamente dalle imprese private, sebbene, come vedremo, ad un livello inferiore a quello socialmente ottimale.


 

Nel suo saggio "Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention" del 1962, Kenneth Arrow, poi Nobel per l'Economia, presenta un modello in grado di illustrare la sub-ottimalità degli incentivi privati all'innovazione rispetto al livello che massimizzerebbe il benessere sociale. Ossia, il fatto che, a causa delle caratteristiche della conoscenza che abbiamo visto in precedenza (bassa appropriabilità, alta trasferibilità, non escludibilità, non rivalità) e del rischio connesso all'attività innovativa (alti costi, scarse probabilità di successo), le imprese investano  in Ricerca e Sviluppo meno di quanto renderebbe massimo il benessere di tutti.

 

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Innovazione in concorrenza perfetta

Prima di tutto, per "concorrenza perfetta" (vedi Wikipedia) si intende una situazione di mercato in cui le singole imprese, per diverse ragioni (troppe, troppo piccole ecc), non sono in grado di scegliere un prezzo di vendita dei propri prodotti superiore a quello esattamente sufficiente a coprire i costi. Si tratta ovviamente di una situazione irreale ma pura e quindi utile per lo studio degli estremi, assieme al monopolio.

Dunque, nel caso di concorrenza perfetta, le imprese producono la quantità di equilibrio xc, al costo unitario costante c, pari al prezzo di equilibrio P (in concorrenza il prezzo uguaglia i costi), che soddisfa la domanda (tocca la curva DD1).

Qualora nel mercato venisse introdotta un'innovazione, il costo unitario c diventerebbe c1 < c ma le imprese dovrebbero pagare una quota unitaria r come costo dell'innovazione (sia essa una royalty verso terzi o il costo di sviluppo ripartito sul totale di unità prodotte). Il prezzo unitario sarebbe quindi P1m = c1 + r.

Se l'invenzione fosse "drastica", ossia tale per cui P1m < c, l'inventore otterrebbe profitti pari a r = P1m - c1. Questa è pari al profitto unitario di monopolio, ossia all'area del rettangolo P1mehc1 (un solo inventore prenderebbe tutte le royalty o, nel caso di sviluppo interno ad un'impresa, questa diventerebbe monopolista).

Se l'invenzione non fosse drastica, per cui  P1m = c (non può essere maggiore altrimenti non verrebbe introdotta), l'inventore otterrebbe al massimo profitti pari a r = c - c1, ossia all'area del rettangolo cdic1

Innovazione in monopolio

Per "monopolio" (Vedi Wikipedia) si intende una situazione di mercato in cui, per diverse ragioni (monopolio legale, necessità di economie di scala enormi ecc), opera una solo impresa che è quindi in grado di scegliere il livello di prezzo che massimizza il suo profitto e che corrisponde a quel prezzo Pm per cui i ricavi marginali Rm(xm) (ricavi derivanti dalla vendita di una ulteriore unità di prodotto al livello di produzione xm) eguagliano i costi unitari c (costi totali / quantità). Praticamente, quando vendere una unità aggiuntiva ridurrebbe i ricavi totali.

Introducendo un'innovazione, il costo unitario diverrebbe c1 < c, il ricavo marginale Rm(x1m), il prezzo P1m e la quantità prodotta x1m.

Contrariamente al caso della concorrenza perfetta, l'incentivo del monopolista non è pari al profitto puro (ricordo che in concorrenza nessuna impresa consegue profitti) ma alla differenza tra il profitto post-innovazione e quello pre-innovazione. In questo senso, il monopolista rimpiazza sè stesso. Graficamente, l'incentivo del monopolista è pari all'area del rettangolo P1mehc1(che, ricordo, era l'incentivo in concorrenza perfetta) meno l'area del rettangolo Pmbcg. Si intuisce facilmente quindi che l'incentivo in concorrenza perfetta è maggiore di quello in monopolio.

Benessere sociale (N.B. Per una trattazione estesa di cosa sia il benessere sociale e come massimizzarlo, si veda questo articolo, non proprio facile e in inglese, di Wikipedia.)

L'elemento più importante del modello di Arrow, almeno per quanto riguarda questa trattazione, è comunque la dimostrazione che gli incentivi privati non sono mai in grado di far raggiungere il livello ottimale di innovazione, inteso come quello che massimizza il benessere sociale.

Il benessere sociale è massimo quando ognuno ha a disposizione il bene ad un prezzo inferiore o uguale alla sua utilità, ossia a quanto sarebbe disposto a pagarlo piuttosto di prendere un sostituto. (Per capirci, se una Ferrari e una Porsche costassero uguale e io potessi permettermele, comprerei una Ferrari. Però, se la Ferrari costasse più della Porsche, comprerei la Porsche, ma non sarei altrettanto soddisfatto).

Graficamente il benessere sociale è l'area interna al triangolo DD10 (l'intera figura) che sta al di sopra della semiretta del costo unitario c, perchè al di sotto di c qualcuno potrebbe anche volerlo comprare, ma nessuno vorrebbe produrlo.

Parte di questo benessere va al produttore (la differenza tra P e c, ossia il margine unitario, ovviamente solo per la quantità prodotta), il resto ai consumatori. Il benessere dei consumatori è pari alla somma dei risparmi che questi ottengono comprando il bene ad un prezzo P inferiore a quanto sarebbero disposti a pagarlo (la teoria della domanda e dell'offerta infatti ci dice che ad un aumento del prezzo diminuisce - ma non si azzera - la quantità di persone che comprano) 

In concorrenza perfetta, tutto il benessere va al consumatore poichè c = P. In monopolio invece si ha una perdita secca di benessere totale, poichè, a causa della quantità minore di prodotto realizzato e del prezzo più alto, ci saranno dei consumatori che non potranno avere il bene al prezzo che sarebbero disposti a pagare. Graficamente questa parte è rappresentata dal triangolo a destra della quantità prodotta, i cui vertici sono rispettivamente il punto di incontro tra c e la curva di domanda, il punto di incontro tra il prezzo P e la curva di domanda e il punto di incontro tra la semiretta del costo e quella della quantità.

Nel caso di innovazione drastica in monopolio, il guadagno di benessere sociale è pari a Benm = aehc1- abcg. In caso di concorrenza invece, è pari a Benc = aehc1 - adc. Il guadagno potenziale invece è Benmax = cdfc1.

Quindi, poichè Benmax > Ben > Benc, appare chiaro che nè monopolio nè concorrenza riescono a conseguire l'ottimo e che quindi i loro incentivi sono minori del livello che massimizza il benessere. Questo giustifica il sostegno dello Stato (e di altri terzi) alla ricerca privata, il quale può e anzi dovrebbe agire con diversi strumenti per sostenere le attività di Ricerca e Sviluppo.

Tuttavia, come analizzato in un precedente articolo, l'Italia per vari motivi attua una politica esattamente opposta e poco lungimirante di riduzione delle spese per Ricerca Pubblica e Innovazione. Anche la recentissima manovra finanziaria, approvata il 31 Maggio 2010, nella sua prima bozza prevedeva il taglio o l'accorpamento di alcuni Enti di Ricerca pubblici. Fortunatamente, le proteste sono riuscite a far rimuovere dalla lista alcuni dei cosidetti "Enti inutili" buona parte di quelli ma il segnale non è comunque positivo.

Al contrario, un timido segnale arriva dall'articolo 44 della manovra che sembra avere come scopo quello di combattere la fuga dei cervelli o quantomeno favorirne il rientro. Si tratta di una goccia nel mare, ma potrebbe essere il segno che qualcosa sta cambiando.

 


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